7 marzo 2013

Il mio bambino piange

Nella vita di una neomamma non manca mai e spesso può accompagnarsi a sentimenti di profonda angoscia o agli immancabili sensi di colpa puerperali: si tratta del pianto del bambino.
Saremo in grado di cogliere il significato di quei pianti? In ognuno di quei pianti è contenuto un vero intento comunicativo? Ma, soprattutto, che sentimenti evoca in noi il pianto di un figlio appena nato?
William Emerson (APPPAH) ed il suo discepolo Karlton Terry (IPPE) sono due grandi esperti di psicologia ed educazione prenatale e perinatale e si sono occupati molto del pianto dei bambini e ne hanno identificate tre tipologie fondamentali.
- IL PIANTO DEL BISOGNO
Si tratta del pianto attraverso il quale il bambino comunica alla mamma la necessità di soddisfare un proprio bisogno (fame, contatto, soluzione di un disagio).
La mamma mette in gioco le proprie competenze empatiche per comprendere quali siano i bisogni del bambino in quel momento.
- IL PIANTO DI AUTOATTIVAZIONE
Si tratta di un pianto determinato da quello che in psicologia fisiologica viene denominato "arousal", ovvero un temporaneo stato di eccitazione del sistema nervoso, caratterizzato da una iperattivazione del sistema cognitivo e di reazione agli stimoli esterni. Cosa significa questo?
Significa che il bambino piange non per la soddisfazione di un preciso bisogno fisiologico, ma perchè in quel momento è ipereccitato e reagisce in modo inusuale ed esagerato ai medesimi stimoli, che in altre circostanze non avrebbero suscitato la stessa reazione.  In qualche modo si potrebbe dire che esprime sempre un bisogno, ovvero quello di essere aiutato a tranquillizzarsi rispetto a questo stato di autoattivazione.
La mamma può aiutare il bambino attraverso il rispecchiamento, tranquillizzandolo e cercando di non farsi "contagiare" da questo stato di arousal, talvolta aspettando per un breve momento.
- PIANTO DELLA MEMORIA (Memory Crying)
Questo specifico tipo di pianto è stato descritto da Emerson, il quale si occupa nella sua attività professionale di risoluzione di traumi legati alla vita prenatale e perinatale sia in bambini che in adulti. Emerson osserva che taluni pianti sono attacchi improvvisi e apparentemente immotivati, più difficili da calmare rispetto ad un pianto di autoattivazione. Secondo lo studioso potrebbero rappresentare la manifestazioni di alcuni traumi vissuti durante la vita prenatale e il parto.
Anche in questo caso alla mamma è richiesto un aiuto per tranquillizzarsi da parte del bambino.
Molte mamme sanno che i pianti non sono tutti uguali e sanno distinguerli a prescindere dall'aver bisogno di un nome da assegnare ad ognuno di essi.
In ogni caso ciò che mi preme sottolineare è proprio questa funzione relazionale del pianto, che dentro di sè, a prescindere dalla causa che lo ha generato, contiene una richiesta di aiuto, tranquillizzazione e contenimento da parte della mamma o del caregiver di rifermiento.
E la mamma e il papà?  Cosa provano quando sentono il loro bambino piangere? Come sono stati accolti quando a loro volta neonati piangevano? Quanto il loro comportamento di risposta al pianto del loro bambino è spontaneo o culturalmente determinato?
Forse ancora più che chiedersi perchè un bambino pianga è importante prendersi del tempo per rispondere a queste altre domande e interrogare se stessi per rispondere consapevolmente ognuno per sè al proprio bambino.
Nove mesi sono un buon tempo per riflettere.

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